domenica 27 gennaio 2013

Zuppa di verdure al trappetaro.

Tratto dal libro del prof. Giuseppe Azzarone.
È un piatto molto antico e appartiene alle tradizioni del Gargano, era consumato durante la molitura delle olive. Il piatto faceva parte dei cibi che i frantoiani consumavano durante la giornata di lavoro, che iniziava alle tre di notte con le macine tirate dai muli bendati e i torchi premuti da robuste braccia di molti uomini.

Caratteristico era l’abbigliamento: scarpe tipo sandalo sahariano, copricapo di lana bianca, camicia in fustagno senza collo e calzettoni di lana grezza. L’alimentazione dei trappetari detti anche frantoiani, si fondava di tre frugali pasti al giorno: il primo, composto da una zuppa di fave, il secondo da fette di pane integrale raffermo fatto a bruschetta e poi spalmate con aglio fresco, olio e peperoncino e il terzo pasto era costituito da ceci lessi con «lagane» (fettuccine di farina e acqua), conditi con sugo di baccalà tirato con pomodoro e aglio. C’era anche una piccola merenda composta da pane e olive ricce nere, insaporite con seme di finocchio. Durante la giornata ogni trappetaro beveva oltre un litro di vino rosso, molto corposo, chiamato «ribollito» o «polverone».


Ingredienti per 10 persone:
Fave secche   kg  1,2
Broccoli o cicorie  kg  6
Pane duro raffermo   n  18 fette
Olio extra vergine d’oliva  q b
Pomodorini   n  6
Prezzemolo   q b
Sale     q b
Peperoncini   n  2
Aglio   n  2
Foglia d’alloro   n  1

Procedimento:
Lasciare le fave a bagno per un’intera notte. La mattina successiva lessarle in acqua a fuoco molto lento e, a metà cottura, unire i pomodorini tagliati in 4 ed il sale. A fine cottura, quando le fave avranno formato una specie di purea, unire il prezzemolo tritato e l’olio d’oliva nel quale avrete fatto rosolare l’aglio e un po’ di peperoncino. In una casseruola lessare i broccoli con un po’ di sale, colarli e saltarli in padella con olio, aglio tritato e una foglia d’alloro. In un piatto da minestra porre al centro una fetta di pane raffermo abbrustolito dello spessore di un centimetro, inumidirlo con un po’ d’acqua calda e condire sopra i broccoli e sopra, ancora, le fave; con un filo d’olio d’oliva.

domenica 20 gennaio 2013

Ritorno a Cerignola.


Bellissimo articolo trovato sul Giornale del cibo e scritto da Topporusso. 
Sabato pomeriggio, sul finestrino alla mia sinistra intravedo due piccoli specchi d’acqua uniti da una lingua di terra che sembra costruita per quanto è sottile. E’ segno che sono quasi arrivato, sono entrato in Puglia e in quella immensa pianura verde e ocra che è il Tavoliere… Così dopo quasi mille Km di A14 a spaccare l’Italia torno a casa dei miei per il week end. In quest’ultima mezz’ora di strada quasi sempre mi vengono in mente i viaggi in treno che, poco più che maggiorenne, facevo per tornare a casa d’estate con mille universitari come me, con mille emigranti come me. Li chiamavamo “viaggi della speranza” e la speranza era che finissero presto, tanto erano scomodi ma anche quella di tornare alle radici… E così quando si entrava in Puglia, tutti a guardare fuori dal finestrino come se trasmettessero un film, estasiati dal protagonista: il sole che, anche se appena spuntato, già era caldo e forte. Perché qui in Puglia il sole picchia duro e non da tregua e quasi si mimetizza con il giallo delle immense distese di grano, con il verde degli ulivi, con l’azzurro del cielo… come se questo paesaggio l’avesse disegnato Munch più che secoli di storia.
Ma la cupola del Duomo Tonti già si intravede, come un faro spicca tra i campi ora maggesi e ora arati, in attesa della semina, tra i vigneti appena spogliati per la vendemmia e tra gli oliveti carichi… Prendere uscita per Cerignola dice il navigatore con una voce da donna.
La cena inevitabile è a base di orecchiette e cime di rapa… e attenzione ho detto “Cime” perché solo quella è degna di essere mangiata, altrimenti chiamiamole orecchiette e cavoli e non si offenda nessuno. La braciola di secondo è un classico, appagante dopo il lungo viaggio anche se hai solo 2 giorni per digerirla. In conclusione i cachi di stagione , "sono genuini e fanno bene": continua a dirmi mia madre da 30 anni sebbene il mio cervello sembra non voglia assimilare.
I sapori genuini di questa terra li senti tutti nel profumo dell’erba a prima mattina e della terra portata dal vento che qui soffia forte, risveglia un sapore di cose vere e semplici, come il rustico carne e piselli delle 12.00 preludio di un pranzo che la domenica si preannuncia combattivo: purea di fave del tavoliere, condito con un filo denso di Olio, introduzione al secondo a base di cicorie e cardoncelliper lasciare lo spazio alla pizza sette sfoglie, un dolce barocco alla vista e sontuoso al palato, giusto epilogo del pranzo festivo.
Nel pomeriggio ho ancora il tempo di assistere ad un’opera d’arte antica e contemporanea, la preparazione degli Scaldatelli. Mia madre affila con cura sul tavolo in cucina 3 tazze di farina, 1 cucchiaio di semi di finocchio, 2 tazze di vino bianco caldo poi prende l’Olio extravergine Topporusso, un nettare d’oliva come lo chiama lei… non serve per condire ma serve ad esaltare e di quest’opera lui è il protagonista, ne versa un po’ in una tazza da caffè e poi lo tiene lì vicino, senza riporlo, perchè presto sarà di nuovo in scena.
Che spettacolo vederla con le mani sapienti ed esperte, meglio di una impastatrice automatica, mescolare la farina, il lievito, i semi di finocchio, e dosare con cura l’olio d'oliva e il vino. Quando ha finito lascia l’impasto dieci minuti di tempo a riposare. L’arte sta poi nel prendere un piccolo quantitativo di pasta e modellarla nella forma di una corda di mezzo centimetro di diametro e 7-8 centimetri di lunghezza. A questo punto il gioco è fatto: basta mettere a bollire acqua salata a fuoco molto alto e immergere i taralli nell’acqua bollente e quando tornano in superficie, tirarli fuori.
Mentre li lascia asciugare per una mezz’ora su uno strofinaccio da cucina, chiede di me, del mio lavoro, dei miei amici, vuole sapere i più insignificanti dettagli. Alla fine li ripone in una teglia ben oliata e li mette nel forno già caldo a 200°C… tra 20-25 minuti saranno pronti!
Il tramonto si avvicina ed è già ora di andare… Il bagagliaio è carico di cavatelli e orecchiette fatte in casa, di un vasetto di olive “la bella di Cerignola”, uno di pomodori secchi, carciofini e lambascioni, tipici cipollotti amari, un pezzo di pizza sette sfoglie, due litri di quell’Olio pregiato e un cesto con gli scaldatelli ancora caldi. Intravedo di nuovo i due piccoli specchi d’acqua ma, questa volta, sul finestrino di destra… Lago di Lesina e Varano dice la voce di donna e mi ricorda che mancano 900 Km all’arrivo. Mi rilasso sul sedile soddisfatto e sereno… è stato un viaggio breve, penso ad alta voce, ma porto con me parte di quei sapori e di quei colori nel bagagliaio.

AIS Taranto risponde a Ziliani e a D'Araprì.


Ho appena ricevuto dal sig. Cupertino, delegato AIS di Taranto, la risposta inviata a Franco Ziliani circa la mancata partecipazione dell'azienda D'Araprì al convegno di Taranto di cui parlo nel precedente post. Il sig. Cupertino afferma che l'azienda di San Severo è stata invitata a partecipare all'evento, ma ha scelto di non parteciparvi, ritenendo il convegno un'iniziativa puramente commerciale e non a carattere scientifico. Si è alzato un grande polverone che certamente non giova a nessuno.




















sabato 19 gennaio 2013

Assente D'Arapri a Taranto.


All'attento Franco Ziliani non è sfuggita l'assenza della nota azienda spumantistica D'Arapri di San Severo al convegno, che si terrà il  venerdì 1° Febbrario a Taranto alle ore 10,30, nella sede Ascom di via Mgna Grecia, sulla spumantizzazione delle uve pugliesi. A non accorgersi della mancata partecipazione dell'azienda pugliese sono stati sia l'ambasciatore degli spumanti italiani, il dott. Bellini, ma soprattutto L'AIS di Puglia. Se i motivi di tale esclusione non vengono resi noti e giustificati, bisogna giudicare grave tale discriminazione.

sabato 12 gennaio 2013

Turcnidd




Sono involtini di interiora di agnello (fegato, polmone, cuore, milza) avvolti in parti di rete (omento) e arrotolati con budellino di agnello, della dimensione di circa 2-3 cm di diametro e di circa 8-12 cm di lunghezza. Noti anche con il nome di Gnommarieddhri o Mboti sono presenti, con il nome di “Turcinelli”, nell'elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali redatto dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (ai sensi dell'art. 8 del D.Lgs. 30 aprile 1998, n. 173) e nell’Atlante dei prodotti tipici alimentari Pugliesi.
Non esiste una ricetta ufficiale dei Turcddni, tramandandosi il processo produttivo di generazione in generazione. Nell’Atlante dei prodotti tipici alimentari Pugliesi sono comunque individuati i passaggi e gli ingredienti base per la loro produzione. “Gli ingredienti sono interiora di capra ed agnello, quali cuore, fegato, polmoni e milza, sale, pepe e prezzemolo. Le varie interiora sono tagliate in parti di piccole dimensioni e miscelate con gli altri ingredienti. L’intestino è preparato con una serie di lavaggi in acqua salata, acqua e limone e, quindi, lasciandolo asciugare per alcune ore. Si procede alla preparazione del budello con la rifilatura in strisce longitudinali. In seguito le interiora e gli altri ingredienti sono avvolte con le strisce di budellini o membrana peritoneale di agnello o capretto da latte in maniera da formare dei piccoli cilindri. E’ consigliata la cottura alla brace.”