Il rapporto col cibo è stato per
secoli escluso dalla speculazione filosofica. Soltanto in tempi più
recenti si è tentato di farne oggetto d’uno specifico campo
d’indagine inteso genericamente come “filosofia dell’alimentazione”. Dal momento in cui procurasi il cibo per
vivere non costituisce più, almeno per le società occidentali, la
preoccupazione dominante, l’alimentazione implica un agire che
tende a farsi libero in quanto comporta scelte svincolate dalla
stretta necessità, che configurano un preciso sfondo etico.
Trattare
la filosofia dell’alimentazione dovrebbe risultare agevole e di immediata efficacia sia per la
natura del suo oggetto sia per il legame originario e imprescindibile
che abbiamo col cibo. La problematica alimentare, infatti, si può
avvicinare tramite un’infinità di spunti tratti dal quotidiano e
dai singoli vissuti degli adolescenti. Cresciuti nell’epoca dei
McDonald’s e del fast-food, ossia del mangiare un po’ a caso con
gli amici, ma al contempo educati come figli unici all’interno di
rapporti familiari fortemente improntati ai bisogni individuali,
spesso gli adolescenti, prima che irrompano eventuali disturbi di
tipo alimentare, si muovono con scarsa consapevolezza nel campo delle
loro scelte nutrizionali, sovente guidati dal solo capriccio.
Per questa e per altre ragioni, assume valenza didattica almeno in ordine a due ragioni: da un lato, per l’attualità e la problematicità che il rapporto col cibo assume specie nel mondo adolescenziale e, dall’altro, per l’opportunità che la scuola se ne faccia carico, al di là di estrinseci corsi sull’educazione alimentare, inserendola nei curricula disciplinari.
Per questa e per altre ragioni, assume valenza didattica almeno in ordine a due ragioni: da un lato, per l’attualità e la problematicità che il rapporto col cibo assume specie nel mondo adolescenziale e, dall’altro, per l’opportunità che la scuola se ne faccia carico, al di là di estrinseci corsi sull’educazione alimentare, inserendola nei curricula disciplinari.
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